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TREKKING: IL TESORO DI MONTE SACRO
Non è un caso che l'ultimo imponente fenomeno religioso di questo secolo in Italia si sia verificato sul promontorio del Gargano, a S. Giovanni Rotondo, dove Padre Pio ha vissuto e ha compiuto la gran parte delle sue opere. L'isola di roccia che si alza imponente e imprevedibile dal tavoliere ha sempre generato forti suggestioni nei popoli che l'hanno abitata e quella appena citata è solo la più recente delle manifestazioni di un'innegabile forza mistica che fa del Gargano una montagna sacra. Questa sacralità è evidente in posti come il già citato S. Giovanni Rotondo o il santuario di S. Michele Arcangelo a Monte S. Angelo, mete da sempre frequentate dal turismo religioso, ma si manifesta soprattutto nei luoghi più difficili da raggiungere anzi, proprio grazie all'isolamento, sembra amplificarsi. Non è difficile quindi comprendere perché l'ordine dei benedettini abbia deciso, nel secolo XI, di erigere l'abbazia della S.S. Trinità sulla vetta del "Monte Sacro", già sede di un tempio destinato al culto pagano di Giove Dodoneo. Il Monte Sacro è la prima altura che, grazie ai suoi 872 metri, può fregiarsi del toponimo di "monte". Per raggiungere la vetta si imbocca una pista sterrata che segue le pendici in ambienti destinati al pascolo. Il percorso che porta in alto, indicato sulla destra da segnali giallo-rossi, per il primo tratto sfrutta un tracciato usato dai locali per il trasporto della legna prelevata nella zona. Questa attività continua ad impoverire il manto boschivo nonostante i divieti vigenti nell'area, dichiarata zona di massima protezione fra quelle comprese nel perimetro del parco nazionale del Gargano. Fortunatamente i mezzi usati sono ancora quelli tradizionali: il trasporto avviene a dorso di mulo, insostituibile sulle forti pendenze che si incontrano in questa parte della salita. Lungo il percorso si scavalcano fili spinati e muretti a secco coperti dai muschi, si incontrano antiche costruzioni rurali, probabilmente funzionali alle attività del convento. Il fondo spesso fangoso della pista accentua le difficoltà ma, nonostante tutto, il percorso rimane agevole per chiunque e gli sforzi da sostenere non fanno che aumentare le aspettative, puntualmente soddisfatte una volta raggiunta la meta. Superata la prima parte, in forte pendenza, la salita si fa più dolce, ma il tracciato, adesso individuato solo grazie ai segnali giallo - rossi, rimane impervio, questa volta a causa delle asperità rocciose. Stiamo attraversando quello che resta dell'immenso "Nemus garganicus", la grande foresta che ricopriva interamente il promontorio, e il rumore del vento nelle foglie dure delle diverse specie di quercia presenti ci accompagna incessante finchè finalmente il bosco lascia spazio ad un ampio prato nel quale campeggiano i resti dell'abbazia. Esplorando le vestigia del monastero ci si fa prendere dal mistero che avvolge questi luoghi ormai preda degli assalti della vegetazione. Si seguono i resti di un muro cercando di indovinare la destinazione di quella che fu una stanza apparentemente isolata o dei vani sotterranei invasi dai detriti finchè, dietro un leccio, trattenuti dalle spine di un cespuglio dell'onnipresente macchia mediterranea, si scopre il mare. In piedi sul muro portante della cella di un monaco fortunatissimo, è forte la tentazione di tenersi per sé il prezioso segreto. Si potrebbe rimanere ore a guardare il panorama se il verso stridulo di uno stormo di chiassose cornacchie non ci riportasse alla realtà. Il prato che copre lo spazio antistante l'abbazia crea una forte aspettativa nel visitatore che guarda il portale, ma qualcosa trattiene dall'imboccarlo. Dietro la pietra bianca della facciata colpita dal sole si intravedono le ombre delle sale interne, un tempo luoghi di vita quotidiana, ora decrepiti resti avvinti da edere giganti. Vi si muovono a caccia, non visti, gli spiriti della foresta: donnole, tassi, volpi, gufi, e civette, padroni indiscussi della scena notturna. Ma anche con la luce del giorno non è facile trattenere una certa inquietudine una volta al cospetto di questi ambienti, e la storia del demone che custodirebbe il tesoro del monastero non pare così infondata. Fino a qualche anno fa le ossa dei benedettini sepolti nel piccolo cimitero si confondevano fra i rovi e i calcinacci, portate alla luce dalle ricerche, svolte in tempi meno disillusi, da improvvisati cercatori di tesori. Ora tutto è tornato in ordine grazie all'opera di un'équipe di archeologi impegnata nello studio dei resti del convento. Ma l'intervento episodico di pochi studiosi non è sufficiente a salvare dall'incuria e dalle ferite del tempo ciò che rimane dell'abbazia della S.S. Trinità. Presto il crocifisso dipinto su di una delle pareti ancora in piedi svanirà, il bosco riprenderà il sopravvento su un luogo che comunque gli appartiene e, nascondendo le già povere tracce del passaggio dei monaci, concederà il meritato riposo al demone, custode di un tesoro ormai definitivamente nascosto.

Come arrivarci.
Da sud:
si segue la SS 16 bis in direzione Foggia fino all'uscita per Margherita di Savoia e di qui si prosegue sulla litoranea (S.S. 159). La strada attraversa l'abitato di Zapponeta poi prosegue in direzione Manfredonia. Avendo l'attenzione di non entrare in città, ma di seguire la tangenziale in direzione Mattinata si raggiunge il paese dopo appena una quindicina di km. Arrivati all'ingresso dell'abitato ci si trova dinanzi un bivio: la strada che dobbiamo imboccare è sulla sinistra, quella che raggiunge Vieste ripiegando verso l'interno (ancora la S.S. 89). Il bivio per Monte Sacro si incontra sulla sinistra, dopo pochi chilometri. Arrivati al punto in cui termina il tratto asfaltato conviene lasciare le auto e proseguire sulla sinistra per il sentiero che segue le pendici del Monte. Incontreremo sulla sinistra un luogo adibito al deposito della legna nei pressi del quale inizia il sentiero indicato dalle tracce giallo-rosse.


Da nord:
si raggiunge Foggia con l'autostrada A14 e di lì Manfredonia con la comoda S.S. 89. Avendo l'attenzione di non entrare in città, ma di seguire la tangenziale in direzione Mattinata si raggiunge il paese dopo appena una quindicina di km. Arrivati all'ingresso dell'abitato ci si trova dinanzi un bivio: la strada che dobbiamo imboccare è sulla sinistra, quella che raggiunge Vieste ripiegando verso l'interno (ancora la S.S. 89). Il bivio per Monte Sacro si incontra sulla sinistra, dopo pochi chilometri. Arrivati al punto in cui termina il tratto asfaltato conviene lasciare le auto e proseguire sulla sinistra per il sentiero che segue le pendici del Monte. Incontreremo sulla sinistra un luogo adibito al deposito della legna nei pressi del quale inizia il sentiero indicato dalle tracce giallo-rosse.


Capo di Leuca in cammino fino al borgo di pietra

E’una lunga cavalcata sul balcone del Capo di Leuca, fra ulivi secolari, pagghiare e muretti a secco. Eccoci sulla Serra del Cianci, l’ultima altura, un vero e proprio cordone collinare (arriva fino a 196 metri sul livello del mare) proteso verso Finibusterrae.
Per raggiungere il punto di partenza, da Alessano bisogna dirigersi verso Specchia. Dopo pochi chilometri, sulla sinistra si apre una strada sterrata che conduce di fronte alla Chiesa del Crocefisso, vicino al bosco Boceto. La Cappella è in aperta campagna e risale al XVII secolo. Vale la pena visitarla prima di partire perché si resterà colpiti dall’inaspettata qualità artistica dell’altare barocco (opera del 1670 dello scultore alessanese Placido Buffelli) all’interno di una costruzione semplice, come la spoglia facciata.
Si comincia a camminare da qui, proseguendo a piedi sulla strada sterrata. Dopo poche decine di metri di sterrato si svolta a destra, costeggiando il muro di una proprietà privata, tra massicci e maestosi ulivi contorti. Arrivati al piede della serra si segue la base del terrazzamento in direzione di Alessano fino a incontrare un’apertura nel muretto a secco, sulla destra, che consente di cominciare a salire. La traccia del sentiero a volte è chiara, a volte è camuffata dalla vegetazione che tenta di riappropriarsi di tracce e varchi umani poco frequentati come questi.
L’ultimo tratto di serra da salire è ben celato dalla macchia, ma il punto migliore per oltrepassarlo è facilmente individuabile dalla presenza di un rudere in pietra a secco che si deve lasciare a destra, salendo verso un carrubo e giungendo così nell’uliveto che sovrasta la campagna.
Il percorso adesso piega decisamente a destra fino a raggiungere un varco nel muretto a secco che si è costeggiato, in prossimità di un traliccio. Si scendono sette terrazzamenti lungo le scale di pietra di raccordo per poi continuare a camminare mantenendo sempre il lato campagna sulla destra. Anche in questo tratto la traccia tende a richiudersi facilmente e le spine delle querce, dello smilax e della ginestra accompagnano pungenti fino ad una grande pagghiara che si scorge sulla sinistra.
Si sale fino a raggiungere la costruzione in pietra a secco, la si aggira e si riprende a camminare nella stessa direzione di prima. E da questo punto si gode, sulla destra, uno straordinario panorama. Pochissimi passi dopo si incrocia una pista sterrata che si lascia scendendo nel punto in cui si innsesta in una strada asfaltata. Noi invece prendiamo a destra.

La discesa in quest’altro uliveto cambia registro quando, attraversato l’ennesimo varco nel muretto a secco, ci si inoltra in un fitto bosco dove si intercetta subito un sentiero che scende ripido verso il piano. Dopo la discesa, si esce dal bosco e si prende ancora una pista sterrata che porta a sinistra. Ci si immette per pochi passi su una strada asfaltata, fino all’altezza di un bellissimo invito che permette di abbandonare la strada e risalire dolcemente la serra fino ad una casa diroccata, abitata solo da macchia e gazze ladre.
Si oltrepassa la costruzione, si prosegue su u sentierino e poi si ridiscende su uno sterrato che si segue tornando indietro come direzione (quindi verso Alessano), fino alla strada asfaltata. Quando ci si trova all’altezza di una pagghiara che spunta dalla serra, sulla destra, si ritorna a camminare sulla terra battuta con una svolta a sinistra e si entra ancora in un uliveto.
Si lascia subito questa direzione attraversando il muretto a secco che stavamo seguendo a livello di una apertura.
Dopo questa svolta a destra si prosegue più o meno in linea retta tra le antiche piante di ulivo che hanno visto cambiare la civiltà salentina ma anche, pian piano, tanti contadini allontanarsi da queste campagne, un tempo molto più popolate e vissute di oggi. Si segue l’ampia traccia sterrata che svolta più avanti a sinistra, si arriva sulla strada asfaltata che congiunge Alessano con Specchia e si prende il primo sentiero a sinistra.
Qui siamo nell’antico quartiere di Matine dove si può circolare liberamente e a pochissima distanza una dall’altra si trovano pagghiare di ogni foggia e altezza, belle, quasi tutte in buono stato, qualcuna anche abitata, altre diroccate. Seguendo una delle antiche strade di questo borgo di pietra si ritorna ad incrociare la strada asfaltata e si rientra sulla sterrata che riporta alla chiesa del Crocefisso, punto di partenza e meta del trekking della Serra del Cianci.